I campi di Tullio, la storia di un internato militare italiano
Il libro I campi di Tullio. La storia di un Internato Militare Italiano, pubblicato nel 2020 da Edizioni Era Nuova, Perugia, e dal Circolo culturale Primomaggio di Bastia Umbra (PG), curato da Luigino Ciotti (figlio di Tullio) e da Dino Renato Nardelli, narra la storia di Tullio Ciotti, nato a Bettona (PG) il 4 aprile 1924, bracciante agricolo, che il 9 giugno 1943 è chiamato alle armi per andare in guerra (dichiarata da Mussolini il 10 giugno 1940). Ė poi assegnato al 112° Reggimento di Fanteria motorizzata, della Divisione Piacenza, di stanza nella “cittadella militare” della Cecchignola a Roma.
La sera dell’8 settembre 1943, poco dopo la proclamazione alla Radio dell’armistizio con gli Alleati, Tullio è catturato dai tedeschi mentre è in servizio al caposaldo di Osteria di Malpasso, sulla via Pontina, ed è portato al centro di raccolta per i prigionieri, allestito dai tedeschi ad Ostia, dove ci sono oltre 900 nostri soldati catturati, che nei tre giorni di permanenza nel centro ricevono come cibo solo un pomodoro in scatola. Quindi sono fatti salire su un treno formato da carri bestiame, senza cibo e con poca acqua. Tullio è insieme ad altri 35 militari in un vagone, che è aperto solo due volte per espletare i bisogni corporali. Dopo un viaggio allucinante durato cinque giorni e sei notti, ed in condizioni igieniche pessime, arriva nel campo di concentramento di Kurtwitz (nome tedesco della cittadina polacca di Kondratowice), vicino a Strhelen (Strzelin in polacco), in Slesia (una regione industrializzata tedesca, assegnata alla Polonia dopo la Grande Guerra), dove è costretto a lavorare in una fabbrica di zucchero.
Tullio scopre che tutti i militari italiani catturati dai tedeschi non sono “prigionieri di guerra” e quindi non sono trattati secondo la Convenzione internazionale di Ginevra del 1929, ma sono considerati “internati militari”, uno status giuridico inventato dai nazisti proprio per i nostri soldati catturati, per obbligarli a lavorare anche nella produzione bellica. Inoltre sono disprezzati dai nazisti, che li considerano ”traditori”, dato che il nostro Paese ha fatto l’armistizio con gli angloamericani.
Per tutti gli internati la vita nel campo di concentramento, che è un “sottocampo” del campo principale (Stammlager VIII B) di Lamsdorf, è fatta di stenti. Ed anche per Tullio, che in particolare il 24 dicembre 1943 è operato all’ospedale militare tedesco di Strehlen per un accesso ad un orecchio, che lo mette in pericolo di vita. Si salva grazie ad un commilitone che gli cura la ferita più volte al giorno.
Nel gennaio 1944 Tullio è trasferito nel Stammlager VIII C di Sagan, dove il 9 aprile 1944, giorno di Pasqua, è picchiato ripetutamente, con il calcio del fucile, da una guardia SS del Lager, per aver cercato di prendere delle bucce di patate da un bidone della spazzatura, per placare la grande fame.
Nel settembre 1944 è trasferito nel Stammlager VIII A di Gorlitz, dove è costretto a lavorare in una fabbrica di carri armati e di autoblindo, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra del 1929, che vieta di impiegare i prigionieri nella produzione di materiale bellico.
Nel febbraio 1945, in seguito all’offensiva sovietica, gli internati nel lager di Gorlitz vengono trasferiti in altri campi ubicati all’interno della Germania, con marce forzate (nelle quali molti perdono la vita). Partono per primi i prigionieri americani ed inglesi. Quelli italiani sono ancora nel campo quando il 7 maggio 1945 arrivano i soldati russi, che li liberano. Il giorno dopo i nazisti firmano la resa con gli Alleati ed il 9 maggio con i russi.
Tullio, come molti altri ex internati, decide di tornare a casa, senza attendere il rimpatrio ufficiale. Parte insieme con un gruppo di circa 25 persone, guidate da un Tenente che conosce le lingue ed ha delle carte topografiche per orientarsi nel viaggio, a piedi, attraverso la Polonia, Germania, la Cecoslovacchia, fino a Innsbruck, in Austria, dove arrivano solo in 12 (la metà di quelli partiti). Quì è preso in consegna dai soldati americani che lo portano, dopo alcuni giorni, prima a Bolzano e poi a Modena, da dove prende il treno fino a Fossato di Vico e poi a piedi arriva a Foligno (PG). Da qui riprende il treno ed arriva la mattina del 9 giugno 1945 a Santa Maria degli Angeli (Assisi), da dove si incammina verso Bettona. Durante la strada incontra vari conoscenti. Nei pressi del paese lo vede la madre, mentre sta falciando il grano, che gli corre incontro e lo abbraccia appassionatamente. Finalmente è a casa, dopo un lungo e travagliato viaggio durato un mese. Pesa appena 35 kg.
La storia di Tullio Ciotti, è la “storia semplice” di uno dei 650.000 soldati italiani catturati dai nazisti, non solo in Italia ma in tutti i teatri di guerra (soprattutto nei Balcani), e che sono stati deportati, in carri bestiame (come è accaduto per gli ebrei) nei “campi di concentramento” allestiti in Polonia ed in Germania ed obbligati a lavorare, sopratutto nelle industrie belliche, perché considerati Internati militari e non prigionieri di guerra, e quindi non tutelati dalla Convenzione di Ginevra del 1929.
La vita degli Internati militari italiani (IMI) è stata molto dura non solo perché erano impiegati in lavori pesanti e per molte ore, ma soprattutto perché erano sottoalimentati ed inoltre le condizioni igieniche dei Lager erano precarie, per cui molti (circa 50.0000) sono morti per gli stenti e per le malattie. Inoltre erano severamente puniti per ogni minima infrazione disciplinare e con la pena di morte, spesso mediante l’impiccagione (pena umiliante per un militare), in caso di sabotaggio della produzione bellica o di tentativo di fuga.
Gli IMI potevano ritornare in Italia a patto di arruolarsi nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana (costituita da Mussolini il 23 settembre 1943), ma pochi migliaia lo hanno fatto e poi numerosi di costoro hanno disertato e sono andati a combattere insieme con i partigiani.
Tullio Ciotti, dopo la guerra ha continuato a fare per alcuni anni il bracciante agricolo e poi il manovale, il metalmeccanico ed anche il minatore in una miniera di carbone vicino a Liegi, in Belgio (dove è nato il figlio Luigino), dal 1951 al 1956.
Ha ricevuto varie onorificenze: nel 1977 la Croce al merito di Guerra, nel 1984 il Diploma di Onore come combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945; nel 1995 l’Attestato di Benemerenza da parte della regione Umbra in occasione del 50° anniversario della Liberazione.
Nel 2009 ha raccontato in una ripresa video al figlio Luigino la sua storia di internato militare, che si può vedere su youtube. Ė deceduto il 13 dicembre 2011.
Il 27 gennaio 2021, durante la cerimonia per il Giorno della Memoria, il figlio Luigino e la figlia Patrizia hanno ricevuto dal Prefetto, a Perugia, la Medaglia d’Onore, assegnata dal Presidente della Repubblica ai cittadini deportati o internati nel Lager nazisti, ai quali è stato negato lo status di prigioniero di guerra.
Purtroppo della Resistenza non armata e nonviolenta degli IMI si sa molto poco nell’opinione pubblica, benché la Legge 20 luglio n. 211 del 2000, che ha istituito il Giorno della Memoria, che ricorre il 27 gennaio (giorno della “liberazione” degli internati nel Lager di Auschwitz), prevede di ricordare, oltre alla Shoah, alle Leggi razziali del 1938, che hanno portato alla persecuzione degli ebrei italiani, anche i deportati politici (antifascisti) ed i prigionieri di guerra (cioè gli IMI), di cui però molto poco si parla in occasione della ricorrenza del 27 gennaio. Ci auguriamo che in futuro, in quel giorno, si ricordi, soprattutto nelle scuole (come prevede la Legge 211 del 2000) anche il sacrificio dei deportati politici e degli IMI.
Giorgio Giannini
[articolo pubblicato su l' Avanti ! Online - 11/05/2021] [pubblicato da Administrator]
Verso il 25 Aprile, la Festa della Liberazione
Su l’Avanti! del 25 aprile 1945, edizione di Milano, in prima pagina si legge: “MILANO E’ INSORTA” – il Comitato di Liberazione Nazionale assume i poteri – Mussolini e Graziani in fuga – Prefettura, Questura, Comune, Radio e Giornali occupati – Residue resistenze fasciste in via di eliminazione – la Lotta continua.
La lotta per la democrazia e per la libertà non è mai finita. Il 25 aprile è il giorno in cui ogni anno in Italia si festeggia la Liberazione dal nazifascismo, avvenuta nel 1945. Tradizionalmente, si svolgono in tutta Italia manifestazioni e cortei in memoria. Lo scorso anno e quest’anno, a causa dei provvedimenti per contrastare la pandemia, non è stato possibile celebrare la ricorrenza in piazza. Purtroppo, i testimoni viventi di quel triste periodo storico sono sempre meno, con il trascorrere del tempo. Così le associazioni partigiane e quelle dei familiari dei caduti per la lotta della Resistenza, hanno organizzato manifestazioni mediatiche per tenere viva la memoria e gli alti valori fondanti la democrazia in Italia. Oggi, molti giovani non sanno nemmeno cosa vuol dire Liberazione, non sanno che cosa è il 25 aprile. Un’indagine tra studenti universitari, facoltà di lettere, di qualche anno fa, ha dimostrato che il 90 per cento degli intervistati non sapeva nulla. Le risposte sono state: “non so”. Può sembrare assurdo, ma se nei programmi scolastici non viene inserito l’argomento di storia sulla Resistenza, non dovremmo stupirci. L’assurdo, anche grave, è proprio questa carenza cognitiva ed educativa nei programmi scolastici sulla storia del nostro Paese. Fortunatamente poeti come Salvatore Quasimodo con la poesia "Alle fronde dei salici", e Alfonso Gatto con "25 aprile" composero versi di alta lirica per dare qualche idea ai posteri sul dramma umano vissuto dagli italiani prima del 25 aprile 1945.
Non credo che una poesia possa sanare le lacune esistenti. Ma sono certo che qualcuno si emozionerà leggendo le poesie di Alfonso Gatto e Salvatore Quasimodo. Spero che da questa lettura i giovani siano spinti a conoscere ed approfondire ciò che è accaduto alla vigilia della Liberazione, con la II Guerra Mondiale, e con l’occupazione tedesca del territorio italiano, dal 25 luglio 1943, quando cadde il regime fascista.
Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia e l’armistizio dell’8 settembre, l’Italia si trovò spaccata in due: al nord la Repubblica di Salò con Mussolini, e al Sud, il Regno d’Italia. Gli Alleati lentamente risalivano la penisola aiutati dalle molteplici formazioni partigiane e anche dagli abitanti delle città che combattevano e insorgevano contro gli oppressori fascisti e nazisti. In tal senso, l’esempio insurrezionale più importante fu segnato dalle quattro giornate di Napoli.
Il 25 aprile 1945, finalmente, i partigiani entrarono a Milano, che fu liberata. Dunque, la Resistenza non fu solo lotta dei partigiani, ma fu una lotta che coinvolse tutti gli italiani in diversi momenti e ruoli. Anche se il meridione fu liberato prima, molti meridionali combatterono al Nord contro i nazifascisti. In realtà, la lotta per la libertà fu iniziata dagli antifascisti sin dal sorgere del fascismo in Italia.
Sandro Pertini affermava: “Il 25 aprile noi abbiamo conquistato la libertà per il nostro Paese. Ma questa libertà è una conquista fragile se non esalta la dignità di ogni singolo individuo”.
A Milano, Piero Calamandrei, nel suo discorso del 26 gennaio 1955, disse: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione”.
Salvatore Rondello - Presidente del Circolo "Giustizia e Libertà " di Roma
[articolo di Salvatore Rondello pubblicato su "AVANTI-Online" il 22/04/21]
25 APRILE
La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
[ Alfonso Gatto ]
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
[ Salvatore Quasimodo ]
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Ricordo di Luigi Covatta
E' una perdita che lascia davvero addolorati, quella di Luigi Covatta. Di lui non si puo' non ricordare immediatamente il rigore culturale e la coerenza con i valori della militanza, prima nel movimento aclista con Livio Labor, poi nel partito socialista.
Lo ricordo nelle Acli ed a fianco di Labor come uno dei giovani dirigenti cattolici piu' determinati nelle battaglie ideali e culturali del Movimento, dalla rivendicazione della fine del collateralismo con la Dc alla grande battaglia per l'unità' sindacale.
Nel PSI ed in Parlamento si è distinto per la sua preparazione ed è stato nella sinistra di quel tempo, stimato e rispettato. Un socialista che ha sempre difeso con efficacia rara i valori della sua testimonianza politica.
Luigi ha anche il merito di aver salvato la rivista “Mondo Operaio” da una inevitabile fine con la diaspora socialista. E con quella rivista è riuscito a dare voce ad una cultura socialista che comunque aveva resistito ed era in grado ancora di proporre considerazioni ed idee utili per il futuro. Aveva un carattere schivo, non facile, ma sapeva con la sua ironia e la sua pacatezza nella discussione far sentire la sua amicizia e la sua vicinanza.
Con Gennaro Acquaviva ha impedito per la sua parte una ingiusta eclisse di un patrimonio importante per la sinistra italiana quale è stato il riformismo socialista. Lo ha fatto con acume e con intelligenza polemica, ben superiori alla mediocrità' ed alla arroganza che si trova oggi nel confronto politico.
Ci mancherà anche perché il suo ricordo non possiamo che associarlo al ruolo incisivo assolto in stagioni della vita sociale e politica improntate ad una grande voglia di cambiare, di migliorare, di conquistare una società più civile e giusta.
[articolo a cura di Giorgio Benvenuto pubblicato sull’ “Avanti-Online” ]
[ pubblicato da Administrator ]
24 Marzo 1943 - 24 Marzo 2021... Storia di un eccidio
Fosse Ardeatine, da 77 anni i morti parlano
di SALVATORE RONDELLO (pubblicato sul numero dell’Avanti del 24 marzo 2021)
L’Eccidio del 24 marzo del 1944, per la sua efferatezza e l’alto numero di vittime divenne subito, per il Nostro Paese, il martirio-simbolo della spietatezza dell’occupazione nazista a Roma e del prezzo pagato dalla lotta partigiana.
Furono 335 uomini, nati in tutte le regioni d’Italia, di età compresa tra i 15 e i 74 anni, trucidati dalle truppe tedesche di occupazione nel pomeriggio del 24 Marzo dell’anno 1944. Il luogo prescelto per il massacro fu individuato nelle antiche cave di pozzolana nei pressi della via Ardeatina a Roma.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine fu e rimane una delle pagine più buie della storia d’Italia e dell’intero secondo conflitto mondiale
La rappresaglia era stata ordinata dagli alti vertici tedeschi in risposta all’attentato dinamitardo di via Rasella avvenuto alle 15.50 del 23 Marzo 1944 per iniziativa dei partigiani dei Gruppi romani di Azione Patriottica (GAP). Nell’azione morirono 33 soldati del Polizeiregiment “Bozen” di ritorno alla loro caserma e due cittadini italiani. Per molti anni il “Bozen” è stato ritenuto erroneamente un reparto operativo delle SS formato da volontari. In realtà si trattava di una forza di riservisti e di coscritti altoatesini impiegata in compiti di gendarmeria.
L’unità non eccelleva né per l’addestramento né per lo spirito combattivo degli uomini, molti dei quali erano in età piuttosto avanzata. Evidentemente furono queste le ragioni per cui il “Bozen” fu esentato dal partecipare alla rappresaglia.
Sottoposta pro forma alla sovranità della Repubblica Sociale Italiana, Roma, pur mantenendo lo status di “città aperta” in seguito all’armistizio di Cassibile, era di fatto sotto il giogo dei comandi germanici. E furono proprio questi, dopo frenetiche discussioni, a decidere l’attuazione della terribile rappresaglia.
Il generale Kurt Mälzer, comandante militare della piazza di Roma, intendeva radere al suolo l’intero quartiere intorno a via Rasella, uccidendone tutti gli abitanti. La sua ira fu calmata a stento dal colonnello delle SS Eugen Dollmann e da Eitel Friedric Moellhausen, console generale del Reich. Il generale August von Mackensen, comandante della testa di ponte di Anzio e diretto superiore di Mälzer, raccolse l’ordine diretto, (per fortuna mai reso ufficiale), di Hitler di fucilare 50 italiani e deportarne 1000 per ogni tedesco ucciso.
Il militare ritenne esagerata la proporzione e ne parlò con il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle forze d’occupazione in Italia. Fu deliberato, dopo consultazione telefonica con il generale Alfred Jodl di procedere con la fucilazione di 10 italiani per ogni soldato tedesco caduto nell’attentato.
Le vittime della rappresaglia sarebbero state scelte tra i prigionieri già condannati a morte o all’ergastolo, con l’esclusione delle donne. Il capo della Gestapo di Roma, Herbert Kappler fu incaricato del rastrellamento di ben 330 Todeskandidaten (persone da eliminare). Questi era un ufficiale delle SS che nell’Urbe si era già macchiato delle peggiori azioni persecutorie.
Fu lui ad arrestare la principessa Mafalda di Savoia, morta in prigionia nell’agosto del 1944. Kappler si adoperò con certosino impegno nella ricerca dei morituri, svuotando le carceri romane e ottenendo il permesso di includere nell’elenco tutti gli ebrei in attesa di essere deportati nei campi di concentramento.
Nel compilare le liste si avvalse dell’operato di Pietro Caruso, questore di Roma. Furono scelti tra i detenuti in via Tasso, a Regina Coeli ed in altri luoghi come la Pensione d’Oltremare.
Le fucilazioni iniziarono alle 15.30 del 24 Marzo. I prigionieri vennero condotti in gruppi di cinque all’interno delle cave scelte per l’eccidio, ubicate tra le catacombe di san Callisto e quelle di santa Domitilla. In un labirinto di gallerie, alla luce delle torce elettriche, la carneficina andò avanti per tutta la notte.
Si formarono pile di corpi. Diversi ufficiali e soldati tedeschi, sconvolti, furono allontanati a forza dal luogo. A spuntare la lista dei condannati c’era il sottufficiale Erich Priebke. Egli si accorse della presenza di cinque ostaggi in più rispetto al numero che andava sacrificato. Furono eliminati anche questi, quali testimoni diretti dell’eccidio. Al termine della procedura, i soldati del genio fecero esplodere gli ingressi delle gallerie.
Finita la guerra, nel luogo del massacro fu realizzato il sacrario: “Questo tempio del sacrificio promosso dall’Anfim, realizzato e inaugurato il 24 marzo 1949 da Umberto Tupini, ministro dei LL.PP. E’ sacrario dei martiri ardeatini, mausoleo nazionale di tutti i caduti nella lotta di liberazione per dare libertà e indipendenza alla Patria”. Un gruppo scultoreo giganteggia all’interno del Mausoleo delle Fosse Ardeatine a ricordare per sempre il sacrificio dei 335 martiri della furia nazista. Questi uomini, vittime innocenti di un nemico crudele e senza pietà, hanno scritto, loro malgrado, una pagina di Storia indelebile nella memoria italiana.
Per quanto riguarda gli esecutori della strage delle Fosse Ardeatine, vale la pena ricordare la sorte di alcuni di loro. Herbert Kappler fu condannato all’ergastolo dalle autorità italiane. Nel 1977 evase con l’aiuto della moglie dall’ospedale militare del Celio dove era stato ricoverato per l’insorgenza di un tumore inguaribile. Morì in Germania un anno dopo.
Il capitano delle SS Erich Priebke dopo una lunga latitanza in Argentina, venne estradato in Italia nel 1995. Condannato all’ergastolo, morì a Roma nel 2013 mentre era agli arresti domiciliari.
Albert Kesselring fu condannato a morte dalla Corte militare britannica nel 1947 per crimini di guerra e per aver ordinato, da massima autorità tedesca in Italia, l’eccidio delle Fosse Ardeatine. La sentenza fu tuttavia commutata nel carcere a vita. Infine nel 1952 l’ex feldmaresciallo fu libero di tornare in Germania. Morì nel 1960 di attacco cardiaco non prima di dichiarare di aver agito sempre da soldato, non rimproverandosi nulla. Aggiunse inoltre che gli italiani avrebbero dovuto dedicargli un monumento per il suo impegno nella salvaguardia, in tempo di guerra, delle città d’arte.
Facendo crollare con il brillare delle mine le volte delle caverne di pozzolana sui resti dei trucidati, le S. S. cedettero di aver riempito per sempre la loro bocca di terra affinché non parlassero. Dai loro Sacelli nella vasta Tomba delle Ardeatine quei Morti gloriosi Vi parlano. Si rivolgono a Voi, che Vi incamminate per il sentiero della vita, non già per rinnovare odi e divisioni ma per ricordarVi che Essi morirono per l’Italia, per un’Italia per sempre libera da dittature, violenza e guerre.
Nel buio dell’antro, illuminato dal bagliore di torcie sinistre, perirono cattolici ed ebrei, credenti ed atei, massoni e preti, carabinieri e comunisti, democristiani e liberali, repubblicani e monarchici, socialisti e azionisti, ufficiali e soldati d’ogni arma, vecchi e ragazzi, espressioni dei più diversi ceti sociali. In quell’inferno si levò benedicente la mano d’un sacerdote condannato a morte per gli altri. Questo dicono i Morti delle Ardeatine: in quell’attimo orrendo noi conoscemmo una indistruttibile unità resa sacra dalla maestà della morte.
Ma dicono anche che se non ci fosse stato l’attentato gappista a via Rasella, non ci sarebbe stato nemmeno l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Quei morti chiedono ancora una giustizia che non c’è stata, ma turbano ancora le coscienze di chi ha nascosto verità. Senza quella tragedia, la libertà si sarebbe conquistata lo stesso.
Quest’anno, come l’anno scorso, per le misure di lotta alla pandemia da Covid-19, non mi sarà possibile partecipare come ho fatto negli altri anni assieme ai rappresentanti di tutte le Associazioni Partigiane ed alle più alte cariche dello Stato. Seguirò la commemorazione da casa attraverso le trasmissioni televisive, mentre su Facebook, oggi alle 12:15, sul sito dell’Anfim, Marco Trasciani, Valeria Fusco e Giorgia pronipote del martire Gastone de Nicolò faranno il consueto appello delle vittime dell’eccidio.
Salvatore Rondello
[ Presidente del Circolo “Giustizia e Libertà” di Roma ] [pubblicato da Administrator]
l’8 Marzo... ovvero La Resistenza dimenticata delle Donne
Analizzando gli eventi umani si ha la forte sensazione confermata, poi, dalla realtà che la nostra società sia unicamente costituita e costruita sull’elemento maschile all’interno del quale, molto defilato, ma sempre e comunque presente, vi sia, quasi per una fortunata combinazione di circostanze, anche quello femminile.
Dalle Istituzioni, via via, per finire alle attività ed ai lavori più o meno impegnativi tutto è incentrato sulla figura maschile che lascia a quella femminile un posto ed un ruolo poco più che marginali: eppure l’amministrare, il governare, l’educare, il costruire sono tutte attività che in genere, senza l’elemento femminile capace di conservare, accudire e formare, manifestano e generano un potere sterile e privo di contenuto.
Da questa primaria sensazione si giunge così all’evidente certezza che l’uomo, il più delle volte, abbia volutamente ignorato il ruolo e la posizione fondamentale che la donna ricopre nella società: posizione che viene riconsiderata solo e allorquando ella diviene generatrice di figli.
Da tutto ciò emerge un quadro non troppo lusinghiero che sembra dimentichi troppo spesso che proprio grazie alla cosiddetta “irrazionalità” femminile, come viene definita da qualche detrattore siano stati risolti problemi di natura sociale e politica anche di grande rilievo.
Infatti senza la fondamentale componente femminile non sarebbe stato, poi, possibile concludere vittoriosamente la Guerra di Liberazione dall’oppressione Nazi-Fascista: tuttavia il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale della resistenza italiana.
“Dopo la fine della guerra, direi a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile…”, afferma la storica Simona Lunadei, autrice di molti testi sull’argomento tra cui “Storia e memoria”. “…Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio durante la guerra avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali”.
La storia "politica" ha sempre privilegiato, di fatto, gli uomini dando loro i più grandi meriti, senza tenere troppo in considerazione quello che è stato il ruolo delle donne nella Seconda Guerra mondiale: In Italia solo verso la fine degli anni ‘70 si è diffusa finalmente una storia di genere che ha fornito nuove interpretazioni sulla Lotta di Liberazione, infatti non si deve nascondere che, per decenni, a livello storiografico ed istituzionale l’apporto delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario, che scontava sul “campo” una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva recitata al «maschile».
Infine c’è da rimarcare che i dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno scontato criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari, non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa.
[ Walter Spinetti ]
UNA RIFLESSIONE SUL “GIORNO DELLA MEMORIA”
UNA RIFLESSIONE SUL “GIORNO DELLA MEMORIA”
Il “Giorno della Memoria”, che ricorre il 27 gennaio (giorno in cui è stato liberato nel 1945 dai soldati sovietici il Campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau) è stato istituito in Italia con la L.20/07/2000 n. 211, approvata all’unanimità dal Parlamento.
Lo scopo della Legge è quello di ricordare non solo la Shoah(lo sterminio di 6 milioni di ebrei europei da parte dei nazisti) e la persecuzione dei cittadini italiani ebrei, dopo l’emanazione delle Leggi Razzialida parte del regime fascista nel 1938, e la loro deportazione dei Campi di sterminio, ma anche la deportazione in Germania, sia degli oppositori politici catturati durante l’occupazione nazista del nostro Paese, dal settembre 1943 all’aprile 1945, sia dei soldati italianicatturati sui vari fronti di guerra dopo l’armistizio dell'8 settembre 1943.
La Legge si propone inoltre di ricordare <<coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati>>. Molte di queste persone sono state riconosciute come “Giusti tra le Nazioni” dal Governo di Israele ed a loro memoria è dedicato un albero nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme, nel quale sono ricordati circa 20.000 Giusti, 300 dei quali sonio italiani.
La Legge prevede che il 27 gennaio di ogni anno siano organizzati su quanto è accaduto <<cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado>>(anche con protagonisti e testimoni di quelle tragiche vicende),perché i giovani sono il futuro del Paese, allo scopo di <<conservare la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese ed in Europa, affinché simili eventi non possano mai più accadere>>. Infatti, chi non conosce la storia è inevitabilmente destinato a ripeterla.
L’esigenza di conservare la memoria è molto sentita ai nostri giorni, dato che cresce l’indifferenza della popolazione, soprattutto delle nuove generazioni, a ricordare quei tragici fatti. Purtroppo, ci sono anche tentativi di revisionismo storico, tendenti a negare addirittura fatti ampiamente documentati, come la deportazione nei Campi di sterminio, dove sono stati barbaramente trucidati molti milioni di persone.
Le Istituzioni nazionali e locali hanno un importante ruolo da svolgere nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica, soprattutto dei giovani. Al riguardo, è molto meritevole l’attività svolta da vari Enti locali che, compreso il Comune di Roma, conducono ad Auschwitz delegazioni di studenti delle scuole superiori cittadine, accompagnati da ex deportati sopravvissuti allo sterminio, i quali hanno la funzione di fare di quegli studenti dei “nuovi testimoni” della barbarie nazista, raccontando ad essi la loro tragica vicenda proprio nel luogo in cui l’hanno vissuta e sofferta.
Inoltre le Istituzioni devono agire concretamente al fine di sensibilizzare soprattutto i giovani, che rappresentano il futuro del Paese, a ricordare le tragedie vissute da tutte le vittime del regime nazista, affinché essi si impegnino a creare una società senza pregiudizi di alcun tipo (né culturali, né religiosi, né politici, né sessuali, né sociali…), nella quale tutti gli individui siano effettivamente “uguali” e quindi non ci siano più persone da discriminare e da perseguitare perché considerate “diverse” per il colore della pelle, per il credo religioso e per la vita sessuale. Purtroppo, questo obiettivo è ancora lontano perché il pregiudizio verso i “diversi” quali gli immigrati extracomunitari, i Rom, gli omosessuali, i diversamente abili, è ancora presente, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Pertanto si devono ricordare oltre alla Shoah (il genocidio degli ebrei), anche gli “stermini dimenticati”, attuati dai nazisti sulle persone considerate “razzialmente inferiori”, quali i Rom-Sinti, sulle persone ritenute “indegne di vivere”, come i malati di mente ed i diversamente abili, e sugli individui considerati elementi negativi per la Società come gli omosessuali.
A questo scopo è opportuna la integrazione della Legge n.211 del 2000 in modo da prevedere che nel Giorno della Memoria si ricordi anche la eliminazione dei Rom e Sinti e dei disabili, la persecuzione degli omosessuali e dei testimoni di Geova. Al riguardo, già nel giugno 2006 è stato presentato al Senato il Disegno di Legge n. 726 (primo firmatario la Sen. Tiziana Valpiana) che è stato ripresentato nell'aprile 2014 dal Sen. Cervellini ed il 12 febbraio 2019, con il n. 1058, dalle Senatrici Loredana De Petris e Monica Cirinnà. Inoltre una Circolare del gennaio 2020 del MIUR (Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca) ha previsto che in occasione del Giorno della Memoria, nelle Scuole di ogni ordine e grado, si informino gli studenti anche sulla persecuzione e la eliminazione dei Rom e Sinti e dei disabili e sulla persecuzione degli omosessuali e dei testimoni di Geova, al fine di superare << quelle forme di razzismo che ancora oggi vedono quei gruppi sociali vittime di pregiudizi e di discriminazioni >>.
Inoltre, il 12 gennaio 2020 è stata sottoscritta a Cracovia una Carta d'intenti (denominata Carta di Cracovia) tra il MIUR, il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), l'UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) e l'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), con la quale i suddetti Enti <<si impegnano a promuovere un programma pluriennale di attività in merito alla Memoria dei tragici avvenimenti legati alla Shoah, al ricordo di tutte le vittime delle persecuzioni razziali e discriminatorie e di chi si oppose al progetto di sterminio nazi-fascista (Ebrei, deportati militari, oppositori politici, Rom e Sinti, Giusti tra le Nazioni, Testimoni di Geova, omosessuali)>>. Purtroppo, la Carta di Cracovia non prevededi ricordare la eliminazione dei disabili, considerati “vite indegne di essere vissute”.
Infine, il Giorno della Memoria non deve diventare una mera celebrazione retorica (come purtroppo è accaduto per la Festa della Liberazione del 25 aprile, in cui si ricorda la lotta partigiana per la libertà dall’occupazione nazifascista del Paese). Deve essere non solo un momento per ricordare soprattutto ai giovani quello che è stata la barbarie nazista, ma deve servire, soprattutto, ad evitare che, attraverso un adeguato progetto educativo, simili eventi accadano di nuovo. Ci auguriamo che le Istituzioni ad ogni livello si impegnino a questo scopo.
a cura di Giorgio Giannini
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