Personaggi del '900 - PIERO GOBETTI

Piero Gobetti,  un’intuizione lunga 70 anni

di Nicola Tranfaglia    -    [ tratto da “ Il Fatto Quotidiano “ ]

 

E’ stata purtroppo molto "breve” l’esistenza del torinese Piero Gobetti,nato nell'ex capitale piemontese il 19 giugno 1901 e morto il 15 febbraio 1926 in una clinica di Neully-sur Seine a Parigi e sepolto al cimitero degli stranieri al Pére Lachaise. In 25 anni di vita bruciante e frenetica che segnano per il nostro Paese prima la vittoria e poi il consolidamento della dittatura di Benito Mussolini, destinata a crollare alla fine della seconda guerra mondiale, Piero Gobetti mostra quello che lui stesso riassume in un frammento autobiografico scritto prima di morire: "Credo di poter riconoscere le mie qualità più innate in una formidabile aridezza e in una non meno inesorabile volontà. L'aridezza rappresenta insieme la mia passività e la mia misura, la mia serenità e l'ironia. Tutto ciò che di tragico vi può essere nella mia vita si riferisce invece alla mia volontà”.

Dove si può trovare la straordinaria attualità politica e culturale di quel giovane uomo? Un uomo che per sette anni, dai diciassette anni del 1918, fine del grande conflitto, che lo videro fondare la rivista Energie Nove al 1920 in cui si laureò in Giurisprudenza con una tesi-libro sulla "Filosofia politica di Vittorio Alfieri" e fondò Rivoluzione liberale al 1922 in cui uscì il suo saggio migliore su La lotta politica in Italia, più noto con il titolo di Rivoluzione liberale, al 1924 in cui fondò la terza rivista Il Baretti e poi alla decisione obbligata di andare in esilio perché Mussolini aveva detto che "quel cervello non doveva più funzionare".

I due grandi intellettuali decisivi per la formazione di Gobetti furono lo storico pugliese Gaetano Salvemini e l'economista piemontese Luigi Einaudi. Di Benedetto Croce e del suo idealismo storicistico risente l'influenza come della concezione antagonistica e conflittuale della storia e del liberalismo anti statalistico di Luigi Einaudi percepisce sicuramente il fascino e la novità di fronte al liberalismo statalistico e immobilistico che si era affermato con l'unificazione nazionale.

Ed è già un liberale quando, proprio nel biennio 1919-1920, diviene prima amico del leader dell'Ordine Nuovo e quindi per due anni critico teatrale del settimanale torinese e del marxismo di Gramsci accetta l'idea centrale della lotta di classe come motore della storia senza per questo mettere in discussione, fino all'ultimo, la concezione liberale della società e l'importanza delle libertà civili e politiche che la dittatura fascista prima critica e quindi abolisce. Gobetti, dopo essere stato negli anni precedenti, un animatore della Lega salveminiana nata nel 1919 intorno alla rivista L'Unità, raccoglie intorno alla Rivoluzione liberale un numero largo e importante di ex collaboratori de La Voce di Prezzolini e del l'Unità di Salvemini: da Giovanni Amendola a Vilfredo Pareto, da Mario Missiroli, futuro direttore del Corriere della Sera, da Gaetano Mosca a Guido De Ruggiero, da Luigi Einaudi ad Augusto Monti e ai più giovani Carlo Rosselli, il fondatore del socialismo liberale nel XX secolo, a Guido Dorso, l'autore de La rivoluzione meridionale a Max Ascoli, da Carlo Levi, l'autore di Cristo si è fermato ad Eboli ad Emilio Lussu, uno dei capi del movimento di Giustizia e Libertà e del successivo ed effimero Partito di Azione al poeta Giovanni Montale, al fondatore del Partito popolare italiano, il siciliano Luigi Sturzo allo storico della letteratura italiana Natalino Sapegno. Dopo la sua morte di Gobetti apparirà l'altro saggio importante che aveva scritto e che si intitola Risorgimento senza eroi. Per Gobetti la definizione migliore del fascismo mussoliniano è "l'autobiografia della nazione" e, dopo i tormentati settanta anni di repubblica, è difficile non dargli, almeno in parte, ragione.

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