L’unità europea e i pericoli del post fascismo

L’unità europea e i pericoli del post fascismo

di Ugo Intini –  Pubblicato il 23-03-2017 sul “Mattino” di Napoli

Nei giorni in cui si celebra il 60° anniversario dei trattati che diedero il via al processo di unità europea, tutti ricordano il famoso “Manifesto di Ventotene”, che ne è stato la base ideologica. La prima edizione (introvabile e preziosa) è conservata alla Fondazione Nenni e ci ricorda molte cose: una straordinaria storia di lungimiranza e coraggio, la posta oggi in gioco, le scelte sul tavolo.

Nell’isola di Ventotene, i detenuti politici hanno sognato e discusso per mesi l’Europa unita. Altiero Spinelli e Ernesto Rossi del Partito d’Azione, con Eugenio Colorni del Partito Socialista, hanno infine sintetizzato e scritto il frutto di questo “lavoro collettivo”, come essi stessi lo definiscono. Colorni è stato incaricato di diffonderlo. E infatti il 22 gennaio 1944, nella Roma occupata dai nazisti (mentre contribuiva a organizzare la resistenza e confezionava, come capo redattore, l’Avanti! clandestino) , in una tipografia nascosta di Monte Mario, ha fatto stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine intitolato “PROBLEMI DELLA FEDERAZIONE EUROPEA: il “Manifesto di Ventotene”, appunto.
Accanto alla evidente lungimiranza, è meno noto lo straordinario coraggio di chi nel pieno della guerra e della repressione nazista preparava il futuro. Colorni lo ha pagato con la vita perché non ha visto l’Europa unita e neppure l’Italia libera: il giorno prima dell’arrivo delle truppe americane nella capitale, è stato infatti riconosciuto da una pattuglia di fascisti che gli ha sparato per strada e lo ha ucciso.
Il volumetto clandestino naturalmente non ha firme. C’è una prefazione che è opera di Colorni ed è siglata “Il M.F.E” (Movimento Federalista Europeo). Seguono gli scritti centrali: di Spinelli e Rossi.
Quale sia stata (dichiaratamente) la spinta alla costruzione dell’Europa unita ci deve far riflettere ancora oggi. Colorni sostiene che le tragedie del continente sono nate tutte dai nazionalismi e dagli egoismi dei singoli Stati sovrani. L’unità europea significava dunque innanzitutto: “mai più guerra”. Anche se la dissoluzione della ex Jugoslavia, che pure era uno Stato vero, ha provocato conflitti sanguinosi, oggi la fine dell’Unione porterebbe probabilmente soltanto guerre commerciali (che già si temono con la Brexit) ma il loro effetto ci renderebbe comunque tutti più poveri. Così come il ritorno alla lira taglierebbe del 30 per cento, dall’oggi al domani, i risparmi degli italiani.

Dietro il Manifesto, si intravede il padre fondatore del partito socialista, Filippo Turati, che già nel 1896, nel suo primo discorso alla Camera, chiedeva gli “Stati Uniti d’Europa” e li vedeva come tappa (in un giorno lontano) verso gli “Stati Uniti del mondo”. Colorni indica esplicitamente anche quest’ultimo obiettivo: “l’ideale di una federazione europea –scrive- come preludio di una federazione mondiale”. È un visionario, certo. Ma anche Turati lo era quando nel 1896 sognava l’Europa unita. E tuttavia, sia pure dopo un secolo, il sogno è diventato in gran parte realtà. Per questo, il nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, anche lui socialista, cita spesso Turati e il suo ideale di unità mondiale come l’obiettivo ultimo, per le generazioni future, delle Nazioni che siedono al palazzo di vetro di New York.

La prefazione di Colorni elenca uno per uno gli obiettivi dell’Unione Europea derivanti dai principi generali del Manifesto. “Tali principi-scrive-si possono riassumere nei seguenti punti: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli Stati appartenenti alla federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica”. Molti di questi obbiettivi sono stati raggiunti. Mancano l’esercito e la politica estera unica. Il Parlamento europeo è sì un “consesso federale” a elezione diretta, ma con scarsi poteri. Ciò che si è conseguito tuttavia non è poco. E proprio su difesa e politica estera il vertice di Roma avrà molto da dire. Abbiamo infatti pagato a caro prezzo l’assenza (o gli interventi scoordinati) dei Paesi europei in Libia e Siria. E il rifiuto di Trump a finanziare la NATO senza un più cospicuo contributo degli alleati europei si spinge sino alla messa in discussione della NATO stessa. Cosicché a Bruxelles si cominciano a porre domande di buon senso. Non sarebbe preziosa una forza europea (anche piccola) di pronto intervento in caso di crisi (ad esempio nel Medio Oriente)? La sola omogeneizzazione e standardizzazione dei sistemi d’arma non farebbe risparmiare miliardi di euro nei bilanci per la difesa? E infine (la domanda più delicata e importante) che senso ha nel 21º secolo la capacità nucleare (missili, bombe e sottomarini) della sola Francia? La force de frappe (forza d’urto) cara soprattutto a De Gaulle non potrebbe diventare uno strumento dell’intera Unione Europea?

Nel 1954, la CED (Comunità Europea di Difesa) arrivò a un soffio dall’essere realizzata. E l’argomento, anche attraverso tappe successive, può tornare sul tavolo. D’altronde, Colorni stesso spiega che proprio l’isolamento di Ventotene e la forzata inattività ha consentito ai padri del Manifesto di non farsi distrarre dai fatti contingenti, concentrando l’attenzione sulla sostanza. Vogliamo riprovare a guardare i dati più clamorosi senza lasciarci distrarre? Nel 1900, l’Europa aveva la metà della popolazione mondiale; adesso, si avvia ad averne il 5. Gran Bretagna, Francia e Germania, da sole, producevano il 35 per cento della ricchezza. Oggi ne producono il 12. Qualcuno può pensare seriamente che i singoli Paesi europei, senza unire le loro forze, possano contare qualcosa nel mondo? Certo, ci si può domandare se valga davvero la pena che l’Europa conti e se abbia qualcosa da dire. Ma anche qui, spesso perdiamo di vista l’essenziale. Scherzando (ma non troppo) si suol ricordare che “gli europei hanno in tasca non la pistola, come gli americani, ma la tessera sanitaria”. Fuori di metafora, non abbiamo la pena di morte ma il Welfare State. Questo da solo basterebbe per rendere, nonostante tutto, l’Europa un modello di civilizzazione per il mondo. E infatti, anche se spesso non ce ne accorgiamo, come tale l’Europa è vista soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

La storia, e il buon senso, spesso colgono l’essenziale. Al vertice di Roma si polemizzerà sulla “Europa a più velocità”. Ma a Ventotene, alla Lettonia (tanto per fare un esempio), ceto neppure si pensava. Alcuni Paesi (innanzitutto Francia, Germania e Italia) camminano insieme da 60 anni; altri, come la Bulgaria, sono arrivati da dieci. E’ naturale che i più vecchi e sperimentati amici vogliano fare insieme un tratto di strada in più e che gli ultimi arrivati li raggiungano dopo, se lo vorranno. Al vertice di Roma, si discuterà delle technicalities per difendere l’Euro. Ma subito dopo la sua creazione, più di quindici anni fa, alla Camera, dicevo. “Mai nella storia si è vista una moneta reggere rimanendo appesa al nulla. Dobbiamo pertanto appendere l’euro alla bilancia di una giustizia comune, alla spada di una difesa comune, ad una politica economica ed estera comune”.

Il piccolo, ingiallito volumetto conservato alla Fondazione Nenni ci insegna un’ultima cosa, questa volta non grazie al testo stampato. Il vecchio leader socialista lo ha infatti sottolineato a penna e in quel lontano 1944 gli ha anche infilato all’interno (cosa davvero strana) un “pizzino”, scritto di suo pugno e incredibilmente riemerso dopo 73 anni. Vi si legge: “quando si farà il governo non deve restare né il colore, né l’odore del fascismo”. Filippo Turati, proprio mentre chiedeva l’Europa unita, insisteva che questo obiettivo sarebbe stato impossibile fino a che non fosse stato estirpato il “cancro” del fascismo che “per sua stessa confessione, è e si vanta di essere l’anti Europa”. Ecco, se non il fascismo, il post fascismo è ritornato. Con il suo nazionalismo, razzismo e intolleranza, nuovamente è e si vanta di essere l’anti Europa. E’ per questo, come ancora una volta avevano intuito i padri fondatori, che la costruzione europea si trova oggi in pericolo.

                                                              [ autore e fonte citati all’inizio dell’articolo -  n.d.r ]

 

 

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